Ing.
Mauro Nicoletti*, arch. Sante Battistuzzo**
Lavori
Pubblici quadro normativo europeo e BIM: la situazione italiana.
Per
rispondere alla sempre maggior necessità di approfondimento sulla
metodologia BIM e alla sua applicazione, lo scritto cerca di
delineare, rispetto alla recente Direttiva Europea sugli Appalti
Pubblici n. 2014/24/UE, il quadro normativo a livello internazionale
e i vantaggi/svantaggi legati alla sua attuazione nel contesto
italiano.
Per
riuscire a comprendere al meglio i contenuti della Direttiva Europea
sugli appalti pubblici e le sue possibilità di applicazione, bisogna
innanzitutto definire nella maniera più chiara possibile in che cosa
consista il BIM (Building Information Modeling): una definizione
condivisibile potrebbe essere quella di “un processo di
generazione, sviluppo e gestione di un modello multi-funzionale di un
oggetto (architettonico)”. Un processo quindi che, in quanto tale,
interessa l’intera filiera legata all’edilizia e che coinvolge
tutti gli operatori, a favore di una razionalizzazione della sua
gestione, dall’idea iniziale di concepimento fino alla sua
gestione: è quanto mai riduttivo infatti pensare al BIM come una
mera, seppur efficace, rappresentazione 3D, perchè esso significa
invece la gestione (spesso la lettera “m” nell’acronimo viene
letta come “Management” piuttosto che “Modeling”) di un’opera
nel suo intero ciclo di vita e nei diversi specifici settori. La
metodologia BIM garantisce e favorisce l’interoperabilità delle
diverse competenze professionali all’interno del processo
costruttivo e l’integrazione delle informazioni in tutte le fasi:
non si limita inioltre al 3D, ma consente l‘elaborazione dei tempi
di realizzazione (4D), dei costi (5D) e dei processi di gestione e
manutenzione.
Da
un’analisi della Direttiva Europea sugli Appalti Pubblici (emanata
il 18 aprile 2014 e che ogni stato membro dovrà pertanto adottare
nella propria legislazione entro due anni) emerge una chiara e
precisa volontà nei principi generali di adottare il più possibile
metodi innovativi e una tendenza, che chiaramente non può essere
univoca a garanzia della libera concorrenza, verso l’adozione della
metodologia BIM, come si legge nell’art.22 c.4:
“For
public works contracts and design contests, Member States may require
the use of specific electronic tools, such as of building
information electronic modelling
tools or similar. In such cases the contracting entities shall offer
alternative means of access as provided for in paragraph 5, until
such time as those tools become generally available within the
meaning of the second sentence of the first subparagraph of paragraph
1.”
La
Direttiva sottolinea più volte il carattere di ricerca e di
innovazione che si dovrà osservare nella descrizione degli appalti
pubblici e nella loro aggiudicazione, per digitalizzare nel miglior
modo possibile l’oggetto dell’appalto, al fine di ottenere
offerte chiare e precise sia dal punto di vista qualitativo che
economico, di ottimizzare le tempistiche di realizzazione dell’opera
e di ridurne i costi. Alcuni stati membri, specialmente nel Nord
Europa, si sono già adeguati o hanno integrato la loro legislazione
introducendo il BIM per gli appalti sopra una certa soglia (in
Finlandia per esempio si parla del 70% dei lavori svolti con questa
metodologia), altri stanno già investendo in programmi di
incentivazione del BIM, si pensi al Regno Unito che ha stanziato una
cifra come 10 miliardi di sterline per progetti BIM-based, o come la
più vicina Austria che da inizio 2016 avrà i primi appalti pubblici
BIM-based; e in Italia a che punto siamo? Innanzitutto bisogna dire
che il BIM è abbastanza conosciuto dai professionisti, anche se
pochi lo usano al pieno delle sue potenzialità, e molto poco invece
da costruttori e anche dalla pubblica amministrazione:
questo si può sicuramente attribuire ad un periodo in cui la crisi
economica crea più criticità che orizzonti positivi, quindi, sta
nell'amministratore lungimirante investire in
formazione per l’introduzione di una nuova metodologia di
progettazione, che comporta una rivoluzione non solo tecnologica ma
soprattutto culturale, e siamo certi che i risultati in termini di
efficienza sarebbero presto ripagati.
A
livello di recepimento legislativo, ad oggi manca una strategia
governativa che abbia come scopo la digitalizzazione dei processi: si
sta valutando ancora il tema, ma non sono stati ancora fissati steps
programmatici. Numerosi sarebbero i vantaggi rappresentati
dall’adozione della metodologia BIM nel caso italiano per tutti i
soggetti coinvolti nel processo, dalla stazione appaltante, ai
concorrenti, alle imprese aggiudicatrici, fino agli utilizzatori
finali: con una metodologia che garantisce una gestione totale e
univoca dell’opera ci sarebbe un’ottimizzazione in partenza nella
selezione della migliore offerta, nella successiva generazione del
progetto, nella sua costruzione e nella sua fruizione e manutenzione,
con una lineare riduzione dei costi e dei tempi. Basti pensare che
già le stesse stazioni appaltanti potrebbero fornire modelli BIM per
la presentazione delle offerte, che queste sarebbero per forza più
dettagliate ed oggettive per tutti i concorrenti, che sarebbe più
facile la loro stessa valutazione: in seguito il processo progettuale
sarebbe integrato coinvolgendo le specifiche professionalità
(architettonica, strutturale, impiantistica etc.) in un continuo
lavoro di interoperabilità, per poi giungere alla realizzazione
dell’opera e del cantiere in maniera più efficiente, ed infine
alla gestione e alla manutenzione del costruito che non preveda
extracosti significativi.
Si
riscontra nelle novità dettate dalla Direttiva Europea in oggetto
una possibilità, oltre che il dovere, per poter migliorare e
ottimizzare l’attuale Codice Appalti, innovandolo secondo le linee
guida europee, ma anche rivedendolo in una logica di semplificazione
e di adeguamento a livello internazionale: oltre quindi ai notevoli
vantaggi in termini di riduzione dei tempi e dei costi con l’utilizzo
del BIM (si parla del 40% per i primi e fino al 33% per i secondi),
si potrebbe ottenere una minor incertezza dei tempi di
aggiudicazione, una progettazione più programmatica in grado di
evitare le numerose varianti in corso d’opera e una gestione
controllata della vita del manufatto una volta realizzato.
Non
si può tuttavia certo pensare di instaurare un cambiamento culturale
semplicemente con obblighi di legge, ma si potrebbe favorire
innanzitutto un’implementazione graduale del BIM con la
sperimentazione in alcuni progetti-pilota, affiancandolo
necessariamente con un importante lavoro di formazione e cominciare,
come si sta già facendo, nella creazione di una piattaforma digitale
e nella condivisione della strategia da adottare con i
professionisti, i produttori e le imprese.
Il
recepimento della Direttiva Europea può rappresentare un’opportunità
da cogliere per la normativa italiana nell’ottica di una sua
complessiva revisione che porti a una generale razionalizzazione ed
innovazione: l’introduzione della metodologia BIM o comunque della
digitalizzazione del processo costruttivo significherebbe, dopo un
iniziale investimento in formazione, una diminuzione dei tempi e dei
costi per la realizzazione, ottimizzando così al meglio la spesa
pubblica, e una rinnovata competitività delle imprese italiane nei
confronti del mercato estero, in una logica orientata allo sviluppo.
*docente
a contratto Politecnico di Milano, Titolare studio INM ingegneria
**
libero professionista, collaboratore INM ingegneria
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